IL LATO POVERO DEL (GRANDE) PARCO FORLANINI

Ci sono due lati che delimitano longitudinalmente il Parco Forlanini. Quello a sud, lungo il viale omonimo, ha l’aspetto di un abito verde a festa. Da un rapido sguardo, che è quello che consente la velocità della strada, si recepisce bene il suo respiro di grande polmone urbano. Quello a nord, il parente povero, disastrato e discontinuo, si palesa come un insieme di avanzi cittadini dai quali occhieggia il verde lontano interdetto dall’incuria della linea di prossimità sulla via Corelli in un alternarsi di incolto, di immondizie trascurate, di recinzioni abborracciate.

E’ su questo settore che deve indirizzarsi l’attenzione dell’Amministrazione pubblica e, in particolar modo, quella di un’Associazione priva di poteri giurisdizionali ma di potenziale grande autorevolezza culturale e sociale come la “Grande Parco Forlanini”.

Procediamo con un rapido excursus.

Partiamo dal “Galet”, che, perlomeno, ha avuto il merito di costituire un punto di riferimento ristorativo nella riqualificazione di una vecchia cascina, tralasciando la parte precedente che inizia dal Cavalcavia Buccari e che si presenta quale affastellato edilizio di un’anonima periferia milanese.

Fra il “Galet” e la successiva costruzione, un decoroso, radicale recupero anche in questo caso di un’antica cascina, si snoda la cortina disordinata di una “recinzione” verde costituita da arbusti vari del tutto impropria la cui crescita incontrollata crea un’impenetrabile cortina visiva. Non sarebbe opera improba sollecitare o convincere il proprietario (privato, pubblico?) a sostituirla con una siepe “normale” di altezza normale.

Si va avanti ed è paradossale dire che i “defunti” sono più rispettosi dei vivi, in quanto la Casa funeraria San Siro presenta un argine decoroso ad un angolo di ingresso al Saini altrimenti destinato alla solita precarietà ambientale. E’ quello che avviene dirimpetto con una storica cascina arrangiata da qualche limitato intervento manutentivo, che ha lasciato nel marasma il profilo sulla via Rivoltana composto da recinzioni sbrindellate, vegetazione incolta e, addirittura, da un vecchio muro in mattoni sbrecciato dall’aspetto piuttosto pericolante.

E’ forse questo il tratto peggiore, in cui si impone il fronte abbandonato del Minigolf, che fa da antipasto all’assoluto degrado della baraccopoli, cresciuta esponenzialmente nel tempo, che precede l’ex Caserma della Polizia Confinaria, oggi occupata, pare, dagli immigrati richiedenti asilo.

E con questo termina la disamina visiva di una bruttura urbana che le tante chiacchiere spese nelle istituzioni non hanno mai seriamente affrontato.

Ora siamo di fronte ad un altro annuncio che si spera veritiero e che trascini con sé anche un occhio di riguardo per quanto sopra descritto: la tanto attesa pista ciclabile di prolungamento verso l’Idroscalo addossata allo storico muro dello Smistamento ferroviario di Milano Lambrate.

Anche a proposito di quest’ultimo ci sarebbe da fare qualche osservazione, senza spingersi in un dibattito sulla pittura “da strada” che ci porterebbe lontano. E’ evidente, tuttavia, che i vari scarabocchi, di cui poco si salva, degli artisti della bomboletta, liberati dal beneplacito assessorile risalente, addirittura, se non andiamo errati, alla Giunta Albertini, offendono la dignità di questa ormai antica struttura, memoria dello storico complesso ferroviario di Lambrate.

A ciò si aggiunge l’endemica assenza di ogni tipo di manutenzione in termini di erbacce e di immondizie e di sicurezza per quanto riguarda lo stato della strada, piena di rattoppi e di buche, nella quale rivaleggiano le Amministrazioni di Milano, Segrate e Città Metropolitana (se ci sei batti un colpo!).

Oggi più che mai è compito dei cittadini e delle loro associazioni, qualora intendano svolgere un ruolo reale di tutela e di pungolo nei confronti della pubblica amministrazione superficiale e distratta, di accendere i riflettori su situazioni intollerabili di questo tipo, smascherando nei fatti i facili slogan sull’attenzione prioritaria alle periferie troppe volte evocata e mai messa in pratica.

COMIS LOMBARDIA